La quarta parola è “edulcorazione”. L’agiografia di Morosetti viene collocata su uno sfondo storico che definire edulcorato è quasi un eufemismo; specie la prima parte, l’unica che poi di fatto riguarda Jesi. A chi si è occupato di scriverla sarà bene allora ricordare che il fascismo non è stata una dittatura da operetta. Mai. Neppure ciò che concerne l’indottrinamento dei ragazzi.
E che la guerra non è stata una sorta di “avventura”, di “passatempo per giovanotti” (ivi compresa la prigionia, dove nessuno stava bene; al massimo pochi fortunati stavano un po’ meno peggio degli altri, ma le condizioni di vita nei campi di detenzione erano a dir poco drammatiche, non foss’altro c’è il numero di morti e di malati a dimostrarlo).
E che nell’immediato dopoguerra le cose non sono andate come descritte, perché non risponde al vero che “quelli che c’erano prima” erano tutti scomparsi. Dati e numeri alla mano, sono rimasti quasi tutti al loro posti (e pure quelli inizialmente cacciati da posizioni di responsabilità – vedi i prefetti – ben presto sono tornati in sella).
Ora, siccome su questi temi esiste una produzione storiografica molto consistente e di comprovato valore scientifico (che sta lì a dimostrare quanto sopra), i casi si riducono a due: o chi ha scritto l’agiografia ignora del tutto tale produzione, oppure ha interesse (o piacere) a dipingere il fascismo e le sue funeste e dolorose conseguenze (la guerra e l’immediato dopoguerra) con tratti e colori che li rendano più benevoli e più accettabili.

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Doriano Pela